quarta-feira, 27 de fevereiro de 2013

LE DONNE REFUGIATTI CURDI



Parvaneh Ghorishi

Parvaneh Ghorishi assiste profughi in Germania.


I governi di Turchia, Iran e Siria si oppongono e combattono ogni tentativo di emancipazione delle rispettive popolazioni kurde. La distruzione del loro ambiente, l'analfabetismo, la povertà, le deportazioni, la tortura e gli stupri sono tutti strumenti utilizzati per punire, intimidire, demoralizzare e infine costringere la popolazione kurda a rinunciare ai propri diritti e alla propria cultura. In questa situazione sono proprio le donne a subire le violenze peggiori. Molte sono arrestate, torturate e stuprate a causa della loro appartenenza etnica, per la loro attività politica o per quella di qualche loro parente.

Contemporaneamente molte donne subiscono anche la violenza da parte dei propri familiari che le perseguitano e uccidono se solo hanno il coraggio - vero o a volte anche solo presunto - di opporsi alle vigenti norme morali. Molte donne kurde riescono a fuggire in esilio, ma per troppe di esse la relativa calma guadagnata con l'esilio coincide con l'apparizione di disturbi psichici causati dai violenti traumi subiti.

Io stessa sono Kurda. Nata nella città kurdo-iraniana di Sardasht sono poi cresciuta a Sanandaj. Nel 1974 mi sono laureata in psicologia presso l'università di Teheran e in seguito sono fuggita in Germania. Ho vissuto sulla mia pelle cosa significhi ritrovarsi improvvisamente in un paese sconosciuto e quanto possa essere disumana la burocrazia. I miei studi non furono riconosciuti e per riavere il mio diploma dovetti ripetere tutta l'università. Oggi sono psicoterapeuta e assisto molti profughi.
 
 I loro problemi si assomigliano e continuano a ricordarmi il mio passato. In Germania un richiedente asilo deve prima dimostrare di non essere un migrante economico. In una sola udienza deve enunciare tutti i fatti a giustificazione della sua fuga e della sua richiesta di asilo. Ma molte donne traumatizzate non sono in grado di raccontare quanto è loro successo, nemmeno quando vengono ascoltate da una donna. La violenza subíta viene spesso rimossa per evitare di sentirsi ancora dolorosamente impotenti ed esposte a un destino violento.

Le tracce lasciate dalla violenza spesso si fanno quindi strada attraverso malattie fisiche come continui mal di testa, disturbi cardiaci e circolatori, stati di panico, depressione, stati di agitazione, smemoratezza e disperazione.
 
 Altre fonti di destabilizzazione psicologica sono date dai lunghi tempi di attesa per ottenere risposta alla domanda di asilo durante i quali si dipende unicamente dagli aiuti statali, le continue minacce di espulsione, insomma, una vita tra speranza e paura.
 
 Spesso i profughi vengono sistemati in località fuori mano e lontane dalle grandi città rendendo così molto più difficili l'apprendimento della lingua, l'integrazione o anche la possibilità di accedere ad un aiuto psicologico. Molti profughi sono costretti a vivere per anni in condizione invivibili e prive di dignità, in alloggi in cui manca ogni possibilità di una sfera privata.

Tutti questi fattori indeboliscono la capacità di auto-guarigione delle vittime e comportano effetti destabilizzanti. I traumi irrisolti di molte donne kurde spesso generano dipendenze di vario genere oppure le mettono in condizione di subire i propri mariti. Spesso sopportano insulti, botte e trattamenti che le privano della loro dignità.
 
 La fuga in una casa protetta per donne viene spesso esclusa, poiché vista come un posto per donne "senza onore" - la mancanza delle corrette conoscenze linguistiche non permette loro di percepire la differenza.

"Le guerre finiscono, le case si ricostruiscono, le ferite guariscono, le strade vengono riasfaltate, ma notte dopo notte uno sconosciuto ti ruba la forza e la fiducia di cui hai bisogno per continuare a vivere."

Parvaneh Ghorishi è laureata in psicologia e lavora come psicoterapeuta.


Postatto per: JUSSARA SARTORI
Scrittora, Poetessa &Freelancer

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